L’attività economica dovrebbe essere il mezzo per un’esistenza buona e nobile. La produzione, il consumo e le altre attività economiche non dovrebbero costituire di per sé dei fini; ma sono dei mezzi, e l’obiettivo al quale devono puntare è lo sviluppo del benessere nell’individuo, nella società e nell’ambiente ( P.A. Payutto, 1994).

Ciò che si sta verificando è invece l’identificazione del mezzo, la crescita economica, come primo obiettivo. Un obiettivo che non tiene conto dei limiti delle risorse del pianeta, delle conseguenze ambientali, dell’incapacità di garantire uno stato di benessere nel tempo.

 

PIL: l’indice della crescita infinita

L’economia, dominata dalla logica finanziaria, “si comporta come un gigante che non è in grado di stare in equilibrio se non continuando a correre, ma così facendo schiaccia tutto ciò che incontra nel suo percorso” (Hoogendijk, 2001).

Originariamente il pensiero economico non si basava sulla crescita: gli economisti classici come Adam Smith, Thomas Robert Malthus, David Riccardo e John Stuart Mill non pensavano che una crescita infinita ed indefinita del sistema fosse possibile. Erano addirittura convinti che si sarebbe necessariamente prodotto un arresto dell’accumulazione con l’avvento di uno stato stazionario, contrariamente alla società attuale che lega il proprio destino ad una organizzazione fondata sull’accumulazione illimitata.

L’indice che per eccellenza descrive l’approccio cieco con cui il sistema economico attuale si sta ponendo nei confronti dello sviluppo è il PIL: indice che considera positiva ogni produzione e ogni spesa INDIPENDENTEMENTE dal fatto che contribuisca o meno a creare BENESSERE .

“Il PIL misura gli output, la produzione, e non gli outcome, i risultati; considera positiva ogni produzione e ogni spesa, incluse le produzioni nocive e le spese necessarie a neutralizzare gli effetti negativi delle prime, in altre parole tutto ciò che può essere venduto e che ha un valore aggiunto monetario, contribuisce a gonfiare il PIL e la crescita, indipendentemente dal fatto che questo contribuisca o meno al benessere individuale e collettivo” (Latouche, 2006).

Già nel 1968 l’allora candidato alla presidenza degli Stati Unti d’America Robert Francis Kennedy, in un discorso tenuto all’Università del Kansas, dichiarava: “Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.

 

Il paradosso della felicità

L’esclusione sociale,… la frammentazione sociale, l’aumento della violenza e il sorgere di nuove forme di aggressività sociale,… la perdita di identità. Sono segni, tra gli altri, che mostrano come la crescita degli ultimi due secoli non ha significato in tutti i suoi aspetti un vero progresso integrale e un miglioramento della qualità della vita.” (Papa Francesco, “Laudato si’. Enciclica sulla cura della casa comune”, 2015)

Anche nei Paesi economicamente più avanzati, negli ultimi decenni non sta più aumentando il benessere umano, a fronte di un forte aumento del benessere economico (Easterlin et al., 2010).

Il paradosso di Easterlin o paradosso della felicità venne definito nel 1974 da Richard Easterlin, il quale evidenziò che nel corso della vita la felicità delle persone dipende molto poco dalle variazioni di reddito e di ricchezza. Questo paradosso, secondo Easterlin, si può spiegare osservando che, quando aumenta il reddito, e quindi il benessere economico, la felicità umana aumenta fino ad un certo punto, poi comincia a diminuire, seguendo una curva ad U rovesciata.

Lo stesso Easterlin insieme a Daniel Kahneman (Premio Nobel per l’economia nel 2002), Frank ed altri hanno provato a spiegare il paradosso con l’effetto treadmill (tappeto rullante), sostenendo che una conseguenza dell’aumento del reddito/ricchezza è da considerarsi come se corressimo inconsapevolmente su un tappeto rullante rimanendo sempre al medesimo punto.

Di seguito si riporta un grafico che mette in relazione il PIL pro-capite degli Stati Uniti e la felicità dei cittadini. L’andamento della felicità media è calcolata in funzione del World Database of Happiness, una raccolta di reperti sulla felicità nel senso di godimento soggettivo della propria vita, definite attraverso questionari o valutazioni cliniche a opera di psicologi e che si traducono in misure attraverso una scala di valutazione.  La figura mette in evidenza che superata una certa soglia di PIL pro-capite la popolazione non percepisce un aumento di felicità.

 

PIL e felicità